Una squadra è un’organizzazione complessa formata da individualità, profili tecnici e caratteristiche umane, varie come l’universo da cui siamo circondati. Il singolo non è niente se non all’interno del gruppo, nel quale si deve fondere per generare armonia. Dietro ad una grande squadra, dietro a un team vincente occorre che ci sia un direttore d’orchestra capace di esaltare le individualità che si devono sommare, moltiplicare, per arrivare dove il raziocinio non può. Stefano Piccardo, allenatore del Circolo Canottieri Ortigia, ha saputo amalgamare grandi campioni a giovani promesse per creare un gruppo che è un inno allo sport, all’unità, alla coesione. E, soprattutto, vincente. Stefano ci racconta il suo lungo percorso che lo ha portato nelle magiche terre della Magna Grecia.
“Ho iniziato la mia carriera nella pallanuoto come giocatore. Ero un buon centroboa, in un periodo di grande splendore per questo ruolo. Nei miei anni c’erano dei mostri sacri, dal ’90 al ’95 uscirono tanti fuoriclasse. Mi viene in mente Onofrietti che è stato un centroboa famosissimo del Posillipo e del Savona, che ha vinto anche la Coppa dei Campioni. E, nonostante questo, non fece mai esperienza internazionale con la nazionale perché c’erano giocatori ancora più forti. Ho iniziato giocando tre anni a Nizza e disputando una Coppa dei Campioni. Fra nazionali giovanili e squadre di A1 qualche soddisfazione l’ho avuta. Ho vinto una Coppa delle Coppe, due scudetti in Francia, 2 coppe di Francia e una Coppa Italia.“
“L’esperienza da giocatore è stata fondamentale per la mia futura carriera di allenatore. Le sensazioni vissute mi sono rimaste dentro e mi hanno aiutato a capire gli atleti. Qual è il clima, se la squadra è stanca, magari se si arriva da un periodo di lavoro forte e hai spinto troppo. Se sei stato un giocatore conosci i limiti. Oppure si rischia di essere troppo integralisti. Anche se, nei primi tempi, anch’io tendevo ad eccedere, calato nel nuovo ruolo. Poi l’esperienza e la maggior sicurezza mi hanno fatto crescere e migliorare. Ho iniziato ad allenare l’Imperia nel 2006. Un gruppo di giovani in cui c’era anche Matteo Aicardi. Fu una grande escalation, che mi portò al titolo juniores e alla prima squadra con cui, in tre anni, arrivammo in A1. Poi qualcosa si ruppe con la società.”
“Fu un punto di svolta importante. Fino a quel momento ero sempre stato a casa, vicino alla mia Genova. Decisi che era arrivato il momento di iniziare a fare il professionista a tutto tondo e valutare tutte le offerte che arrivavano. Ebbi subito la possibilità di andare a Como e non persi l’occasione. Una nuova sfida, ricominciando dalla serie B, ma con un grande progetto. Furono quattro anni intensi, costruttivi e, soprattutto, portarono all’obiettivo prefissato: nel 2014 centrammo la promozione in A1. Alla fine di questo ciclo ebbi un duro momento nella vita. La perdita di mia madre mi segnò profondamente. E decisi di cambiare ancora, approdando a Trieste.”
“Era un posto dove ardentemente volevo andare a vivere. Come allenatore è stata la migliore esperienza che potevo fare. Il primo anno fu trionfale. Presi la squadra in A2 e riuscimmo a ottenere la prima storica promozione in A1. In campionato riuscimmo a vincere 21 su 22 partite e battemmo ai play off Catania e Ortigia. L’anno successivo disputammo un discreto campionato, di metà classifica. Il terzo ebbi molte difficoltà. Avevo sbagliato un po’ di cose, di scelte. Ma fu un anno in cui crebbi molto, facendo tesoro degli errori commessi. Soprattutto nella gestione dei giocatori, un aspetto sempre molto delicato, su cui realmente si fonda il successo di una squadra. Poi ci fu la chiamata dell’ingegnere Marotta, del Circolo Canottieri Ortigia.”
“L’ingegnere già lo conoscevo da tempo. Nel 1998 avevo avviato con lui una trattativa, da giocatore, per arrivare all’Ortigia. Non andò a buon fine ma rimasero ottimi rapporti, di stima reciproca. La decisione di venire in Sicilia è maturata non solo per gli aspetti puramente tecnici e programmatici della società. Ma, soprattutto, per gli aspetti umani. Sono una persona molto riservata e per me è davvero importante trovarmi bene con la mia famiglia. A Siracusa mi sono sentito subito a casa. Non mi sono mai sentito solo, ci sono persone sempre presenti, anche nei piccoli problemi della vita quotidiana. E anche questo periodo di quarantena ho deciso di rimanere qui.”
“Il percorso dell’Ortigia è partito nel 2017. Un mix fra atleti di altissimo profilo professionale e giovani dalle grandi potenzialità. Oggi i quattro ‘vecchi’ della squadra sono un grandissimo esempio per tutti, lavorando, dando sempre il massimo e seguendo alla lettera il programma da fare. E i ragazzi conoscono il valore di chi gioca con loro, c’è un rapporto di grandissimo rispetto. Hanno la fortuna di poter imparare da atleti che ancora hanno degli anni di carriera davanti, importanti. E soprattutto di mentalizzarsi. Giribaldi che si allena a marcare Christian Napolitano che, a 38 anni, ancora si spacca la schiena, capisce che è da 20 che va avanti così. E cosa lo aspetta in futuro. I due Condemi quando sono arrivati sono rimasti scioccati, non avevano idea di cosa significasse fare l’allenamento. Vivere tutto il giorno come un atleta. Venire in piscina preparati mentalmente a quello che deve fare.“
“Con noi quest’anno c’è anche Stefano Tempesti, con cui ho un rapporto particolare. C’eravamo conosciuti ai tempi in cui ho fatto il secondo allenatore della nazionale, nel biennio nella gestione di Manara. Abbiamo instaurato un rapporto vero. Ci scambiavamo i libri, eravamo entrambi dei lettori onnivori. L’estate scorsa, quando è nata l’idea, durante la Coppa Italia di Bari. Scherzando gli feci una battuta: ‘Non ti si può guardare. Con lo zainetto che vai in tribuna. Forse ti dimentichi che sei il più forte di tutti.‘ Sapevamo che con il Recco il rapporto era finito e ci siamo fatti avanti. Gli ho raccontato del nostro progetto e, devo dire, che non ha esitato neanche un secondo.”
“Quest’anno abbiamo giocato 4-5 mesi di grandissima pallanuoto, andando vicino al nostro livello massimo. Sotto il punto di vista dei risultati, credo che sia la migliore stagione dei 92 anni del Circolo. Siamo in semifinale di Coppa Italia, che si può affrontare perché col Brescia ce la giocheremo. Siamo terzi in campionato, finalista di Coppa Len. Una stagione da incorniciare, con la Coppa che è il nostro obiettivo. Per come eravamo usciti l’anno scorso, se non fossimo arrivati in finale ci sarebbe stato un suicidio generale. Adesso abbiamo bisogno di tornare a vivere, anche con le giuste protezioni, ma tornare ad una vita più normale. Sono uno di quelli che pensa che campionato e tornei debbano finire. E’ una questione etica e morale. E poi abbiamo bisogno di lavorare, come tutti. Sono ottimista. Spero che tutto andrà per il meglio.”
Stefano Piccardo