L’unico vero errore nella vita è quello da cui non impariamo nulla. E’ solo attraverso la loro elaborazione, la loro analisi, che riusciamo a costruire giorno dopo giorno il nostro patrimonio di conoscenze. Fare un errore diverso ogni giorno non è solo accettabile ma è la definizione stessa di crescita. E ci sono ruoli, nella vita e nello sport, in cui la mente ha pochi attimi per trasformare un punto di debolezza in una incredibile risorsa. Marco Del Lungo, portiere dell’An Brescia e del Settebello, ci racconta la sua storia nella pallanuoto e il suo fondamentale ruolo, in cui la testa deve essere molto più forte del corpo.
“La mia avventura nella pallanuoto è nata davvero per caso. O meglio, dalla decisione dei miei nonni di portarmi in piscina non potendomi più vedere passare i pomeriggi davanti ad un televisore. Iniziai con il nuoto ma fu un corso di mini pallanuoto, a cui partecipai a 9 anni, a cambiarmi la vita. Da lì in poi non ho più smesso di giocare. Sono cresciuto nelle giovanili del Civitavecchia dove, l’incontro con Roldano Simeoni e Fabio Cattaneo, mi permisero di mettermi in evidenza. Due tecnici che riuscirono a portare la squadra a disputare le finali regionali e farmi diventare il portiere della rappresentativa del Lazio. I primi passi della mia carriera.“
“Con passaggio alla SNC Civitavecchia, nel 2005, diventai, per la prima volta, il portiere di una squadra a livello nazionale. A Marco Pagliarini, tecnico della società, devo il mio debutto in A1, facendomi passare subito dalla formazione giovanile alla prima squadra. Nel 2011, a ventun anni, il passaggio al Brescia e l’incontro con Alessandro Bovo hanno rappresentato il grande salto nella mia carriera. All’inizio fu un’avventura. Anche per loro sono stato una scommessa, non credevano che potessi crescere così tanto in breve tempo. L’impegno ha prevalso sulle critiche e sono riuscito a raggiungere grandi obiettivi. Per me è stata anche ripagare quella fiducia che, sia l’allenatore sia la società, avevano riposto su di me.”
“Sono partito da Civitavecchia dove vivevo ancora con i miei genitori. Arrivare a vivere da solo, organizzarmi, pensare a tutto, mi ha cambiato la vita. Ma anche questi sono stati passi importanti nella crescita, determinanti nella mia formazione. Ad attendermi una squadra di grandi campioni, veterani sia a livello di club che di nazionale, persone che avevano alle spalle campionati italiani di A1, campionati del mondo, olimpiadi. Atleti del calibro di Mammarella e Binchi mi hanno accolto nel migliore dei modi, facendomi sentire, fin da subito, parte del gruppo.“
“A Brescia devo tutta la mia carriera, la mia formazione, la mia crescita. Un’evoluzione non solo dal punto di vista tecnico ma anche mentale e caratteriale, che mi ha permesso di raggiungere i massimi livelli della pallanuoto. Al mio arrivo la società non brillava da diverso tempo. Abbiamo fatto i primi due anni alla grande, raggiungendo finali scudetto e vincendo una Coppa Italia. Da lì abbiamo conquistato per nove anni di fila la finale del campionato. Cammino che si è arricchito disputando le competizioni europee che mi ha permesso di confrontarmi con le più importanti realtà della pallanuoto continentale. La grande esperienza in campo internazionale è stata fondamentale anche per il futuro in nazionale.“
“La mia prima grande avventura con il Settebello è stata nel 2016 con le Olimpiadi di Rio. Una grandissima competizione in cui, però, è stato necessario fare i conti con l’adattamento. Fra villaggio olimpico, fuso orario, mensa, spostamenti si vivono dei cambiamenti a cui bisogna adattarsi velocemente. La squadra ha risposto bene, facendo un ottimo percorso. Solo nella semifinale con la Serbia forse potevamo dare di più. Ma il Settebello si è subito riscattato nella finale per il terzo posto, battendo il Montenegro. Una grandissima esperienza in cui, anche il confronto con Tempesti per me è stato oro. Fra noi è nata una sana competizione che è quella che aiuta entrambi a lavorare bene, a crescere sempre.”
“L’apice della mia storia con la nazionale l’ho raggiunto lo scorso anno al mondiale di Gwangju. Una competizione in cui neanche noi ci aspettavamo che potessimo arrivare all’oro. E’ tutto nato dalla grande voglia di vincere del gruppo. C’era un’unione e una sintonia eccezionale. Anche le direttive date da Sandro Campagna venivano ascoltate e applicate subito in acqua. C’era una grandissima voglia di dare il massimo e una continua crescita da parte di tutti. E’ stato un crescendo incredibile, un percorso che ci ha permesso di arrivare fino alla fine e vincere il mondiale.“
“Il mio non è un ruolo semplice. Per fare il portiere occorre un’indole naturale, bisogna sentirselo proprio dentro. C’è chi dice che bisogna essere solo alti, slanciati e magri. Occorre invece avere grandi doti di resilienza allo stress e al sacrificio. Il 90% di un forte portiere è la testa. Tutti si ricordano dei gol presi e meno delle parate. L’errore per il portiere è una cosa davvero brutta, che influisce profondamente sulla psiche. Rischiando di ripercuotersi anche nelle azioni successive. Bisogna fare tesoro degli errori commessi in maniera da essere pronti nel momento in cui si ripropone una stessa azione. Occorre superare subito il momento ed essere pronti a riscattarsi con la prossima parata. Che potrebbe valere la vittoria.”
Marco Del Lungo